Febbraio 2008: Il presidente Nicolas Sarkozy chiese a due economisti vincitori del premio Nobel, Joseph E. Stiglitz e Amartha Sen, non solo di individuare i limiti del prodotto interno lordo (PIL) come indicatore di crescita economica e sociale... ma anche di indicare nuovi parametri che comprendessero felicità e benessere.
Mai come di questi tempi il mondo del lavoro si dimostra complicato, pericoloso e competitivo: la necessità di raggiungere gli obiettivi in breve tempo e con le minime risorse economiche sembra l'unica via da seguire. Ma la qualità? Vale ancora la pena investire sulla crescita delle Risorse umane, e far in modo che non siano proprio queste ultime ad abbandonare l'azienda nel momento del bisogno?
Che dire... oggi tutti noi dobbiamo affrontare innumerevoli sfide, ma non solo con noi stessi: non basta la fatidica frase “io faccio bene il mio lavoro e mi faccio gli affari miei” per sopravvivere in azienda. Già perchè ci vuole molto di più. I momenti di tensione sono inevitabili e fare la differenza significa non solo riuscire a mantenere uno stato di calma, lucidità e lungimiranza in ogni tipo di situazione ma anche avere la capacità di sapersi armoniosamente destreggiare con la psiche di ogni collaboratore.
Investire sul benessere per le imprese non è un'idea così assurda. A livello economico, ci sono addirittura delle norme che regolano le agevolazioni.
Ad esempio, se si decide di fornire ai dipendenti buoni pasto o borse di studio per i figli, il valore del finanziamento è netto. Non viene tassato. Cosa che invece avverrebbe con un semplice aumento di stipendio in busta paga.
Sul piano accademico, a sostenere la causa troviamo Jonathan Haidt, professore di psicologia all’università di Virginia, nel suo “The Happiness Hypothesis” 2006 e Arnold Bakker dell’Università di Rotterdam, in particolar modo quest'ultimo ha sottolineato come stati d’animo positivi e contagiosi tra colleghi aiutino a srotolare l'ardua matassa delle questioni delicate in modo decisamente più efficace. Da una recente indagine della camera di commercio dei Monza e Brianza, inoltre, emerge che il 58% delle imprese dichiara di aver intrapreso al suo interno politiche di conciliazione. Le colonne portanti su cui queste si fondano sono:
- la definizione di obiettivi chiari
- l'ascolto delle necessità dei dipendenti che devono anche essere coinvolti
- la comunicazione e la rendicontazione degli interventi
E quindi da imprenditori... come possiamo aumentare il benessere dei nostri “figli aziendali” e tradurre ciò in produttività, competitività e redditività aziendale?
Non basta selezionare collaboratori capaci e metterli nella stessa stanza a produrre? Eh no... è fondamentale avere un'occhio critico, imparziale. Saper analizzare le dinamiche sia dei singoli coinvolti, sia del gruppo nel suo insieme. Ben distribuire i ruoli in azienda, valutare bene a chi affidare quello di leadership, perchè molto spesso una cattiva gestione del gruppo impedisce di superare sfide importanti.
E poi... si lavora con cura sul team, costantemente, tenendo in considerazione tutte le sfumature emotive, di tutti quanti, ponendo massima attenzione all'elemento “fiducia”... che sicuramente non verrà a mancare se si condividono le strategie, i valori e i punti di vista.
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